Perseguitati dal freddo

Nelle case di Scutari (Albania), il sistema di riscaldamento, come lo intendiamo oggi, era inesistente. Prima della Seconda guerra mondiale, durante l’inverno, il camino era l’unico mezzo di riscaldamento. Le stufe in terracotta erano rarissime. Dopo gli anni ’50 le città cominciarono a ingrandirsi e man mano che gli edifici alveare del realismo sociale divoravano le case scutarine, trasformandole in condomini agghiaccianti, arrivò anche la stufa a legna, con tutti i problemi che comporta l’approvvigionamento e lo stoccaggio della legna. Mi resi conto solo dopo tanto tempo dei problemi che affrontava la gente che viveva in quei palazzoni. Io ho vissuto per molti anni in una grande casa con un grande camino; perciò, questo scritto è relativamente limitato alle sole case di proprietà e non alle case popolari fatiscenti, con facciate non intonacate, sparse ancora oggi nella periferia della città. 

Finito l’autunno, arrivava il momento di tirare fuori dalla musandër (grande armadio dove si tenevano le coperte e le lenzuola) tutto il corredo per la protezione contro il freddo. Ovviamente c’erano anche trapunte, lenzuola e federe ricamate che si usavano per le occasioni di festa, matrimoni e nascite. Le coperte spandevano per tutta la casa il profumo delle erbe aromatiche che si usavano contro tarli e tarme: elicriso e foglie di alloro, ma anche cannella e chiodi di garofano. Presto le erbe aromatiche furono sostituite dalla naftalina perché più pratica e efficace: emanava un odore così forte che poteva soffocare non solo le tarme… Ovviamente, c’era sempre chi faceva battute su come affrontare il freddo trovando il prima possibile un “marito”, se non altro, per riscaldare il letto. 

I problemi d’isolamento termico, mettevano a dura prova le persone che erano braccate dall’umidità e dagli spifferi, contro i quali era molto difficile difendersi. Infatti, con l’arrivo della stagione fredda, arrivavano anche i raffreddori e il naso che cola: provo ancora avversione pensando a quei fazzoletti inzuppati di muco e il kazan (pentolone per il bucato) dove venivano messi a bollire per essere disinfettati e lavati.

I letti erano abbastanza simili a quelli di oggi, un po’ più alti, circa 60-80 cm. 

Le madri insegnavano ai propri figli come fare il letto, per sfuggire dalle correnti d’aria fredda.

Un letto era composto di un telaio di ferro o di legno: normalmente delle tavole venivano posizionate sulle barre laterali ma c’erano anche delle reti rigide o a molla e poi dei grossi materassi che si riempivano di lana cardata; la gente meno agiata li riempiva con cotone e per ultimo si usava canapa, crine, fieno e paglia…. La lana con la quale si riempivano i materassi solitamente si faceva cardare ogni due o tre anni. 

La cardatura, tante persone la facevano direttamente a casa. 

Mi ricordo sempre, accanto al pozzo, le due vasche in pietra, lugje (sing. lug, abbeveratoio), dove si immergeva la lana in acqua fredda e si lavava accuratamente per eliminare lo sporco e la polvere incastrata tra le fibre. In seguito veniva usata la finjë (lisciva): una soluzione di acqua e cenere, come “detersivo”, per lavare delicatamente la lana.

Dopo il lavaggio spesso la lana veniva messa ad asciugare al sole, sulla grande scala di cemento all’entrata della casa. Il momento più bello era quando la nonna ci chiedeva una mano per spargere la lana su tutto il çardak (grande sala d’ingresso al primo piano)per cardarla. Noi bambini, facevamo festa quando aiutavamo lei ad accumulare tutta quella lana nel çardak, ci rotolavamo sul mucchio di lana sparsa sul pavimento mentre era quasi asciugata. 

In seguito si procedeva con la cardatura (shprishje). Tramite la cardatura la nonna preparava la lana per imbottire i materassi e i cuscini: cioè si prendeva la lana a ciuffi e con le mani e si allargava il più possibile. Ma per farlo bene serviva lo strumento giusto, simile a un pettine; due tavole di legno con un manico ricoperte da ferri simili a piccoli chiodi, con il quale una volta posata la prima ciocca di lana allargata, si passava sopra con la seconda tavoletta e iniziavamo a “pettinare” la lana. La procedura seguente sarebbe la filatura ma visto che la lana serviva solo per riempire cuscini e materassi, dopo aver finito con la cardatura, la lana si inseriva direttamente nella federa di stoffa e si compattava con cura facendola aderire perfettamente negli angoli. E’ superfluo dire che tutti questi lavori si svolgevano d’estate. 

Spesso arrivava da noi una donna cucitrice la quale ricuciva e trapuntava quello che sembrava un grosso sacco riempito di lana, con un ago enorme, tanto lungo da attraversarlo, dando vita così a un bel materasso rettangolare con dei bordi rifiniti. 

A causa della rigidità e della durezza delle tavole di alcuni letti a volte si posizionavano due materassi uno sull’altro, in ogni caso erano materassi di un certo spessore.

Per coprire il letto si usavano le batanije (coperte di lana) o il jorgan, una coperta imbottita di lana o di cotone, raramente si usavano quelle imbottite di piume. Erano d’obbligo un paio di lenzuola di cotone o di lino, tra il materasso e la coperta. Sotto il peso della coltre, i movimenti del corpo erano piuttosto impediti.

La stanza da letto si riscaldava con un braciere. Il braciere veniva riempito di carboni accesi prelevati dal camino o dalla stufa e quindi si alimentava con carbone di legna. Le intossicazioni da monossido di carbonio erano all’ordine del giorno. Il braciere è rimasto per molti anni nei miei ricordi perché una volta, rientrato a casa con le scarpe inzuppate d’acqua, mi misi seduto su una sedia e appoggiai i piedi scalzi ai lati del braciere. Mi addormentai dal tepore del fuoco e nel risvegliarmi feci perdere l’equilibrio al braciere che riversò sopra i miei piedi nudi tutti i carboni accesi. A quei tempi, avevo appena finito di leggere “Le avventure di Pinocchio” e il mio incubo peggiore, a lungo, è stato l’immagine di me stesso con gambe di legno…   

Il camino si trovava sempre nella “stanza del fuoco” (oda e zjermit) salotto-cucina, che serviva il più delle volte per riscaldare e per cucinare. Di notte, onde evitare eventuali incendi, il fuoco doveva rimanere sempre spento e bisognava essere sicuri di aver ricoperto la brace con la cenere. Solo allora andavamo a coricarsi. La mattina dopo trovavamo la casa del tutto fredda.

Dopo qualche anno, ci fu una svolta: i camini furono sostituiti con le stufe, più efficienti anche se rimaneva sempre il problema della manutenzione dei tubi di scappamento. In seguito entrò nel mercato una stufa “moderna”: la cucina economica (sobë ekonomike), in genere smaltata bianca da esterno che io percepii come molto bella. La stufa riscaldava meglio ma appena qualche metro più in là serviva la giacca, la sciarpa e il cappuccio come gli unici mezzi per ripararsi dal gelo della camera. 

Tutti si radunavano attorno alla stufa e a me mancavano quei momenti accanto al camino mentre guardavo la legna che ardeva e, venivo ipnotizzato dalle fiamme che svolazzavano, il fuoco s’impadroniva del mio spirito rinviandomi a un mondo che sentivo profondamente mitico, fiabesco. Ma quando dovevo allontanarmi dal fuoco, tornare alla fredda realtà diventava ancor di più sgradevole.

Nel letto tutti dormivamo vestiti di pigiama o di tute e spesso senza togliere neppure le calze. C’era chi teneva sopra una sedia vicina al letto il proprio abito in modo che, svegliandosi al mattino, uscito dal letto caldo, stesse esposto al freddo il meno possibile. 

Per riscaldare il letto si riempivano delle borracce militari con acqua calda; il loro rivestimento di stoffa (termo fodera) proteggeva dalle scottature. In molti riempivano delle bottiglie con l’acqua calda ma in seguito uscirono in vendita le borse di acqua calda in gomma.    

Patire il freddo era una sensazione introiettata profondamente. Dalle finestre entravano gli spifferi che penetravano anche fra gli interstizi delle travi in legno del soffitto, coppi e controcoppi facevano poca resistenza all’uscita del calore dall’interno verso l’esterno. Mancando l’isolamento termico il calore si disperdeva dal tetto, però c’era un lato positivo: i coppi venivano riscaldati dal calore della casa e la neve non rimaneva a lungo sopra il tetto, salvando così la struttura da un eventuale crollo per via del peso della neve.

Tutti giravano per casa vestiti, visto che il camino dà calore solo a chi gli sta molto vicino e per tirare bene ha bisogno della corrente d’aria di una porta o di una finestra socchiusa. In questo senso non c’era alcun problema perché non esistevano porte o finestre che si potevano chiudere in modo ermetico. 

Quando fuori fa freddo, stare in poltrona a leggere un libro accanto al fuoco acceso nel camino è piacevole, in una casa ben riscaldata dal metano, ovviamente!

G. L.